Che valore hanno le chat e i gruppi di WhatsApp nel rapporto di lavoro a livello legale? Si può usare un messaggio per licenziare il lavoratore? Questi sono dubbi del tutto leciti nell’era della comunicazione. In questi ultimi anni infatti il rapporto con la tecnologia è notevolmente cambiato: è tutto molto smart, siamo sempre più social e (quasi) sempre rintracciabili e raggiungibili in un tempo rapidissimo e praticamente ovunque. Se da un lato questo ha sicuramente dei risvolti positivi, dall’altro bisognerebbe fare delle distinzioni nei vari ambiti di utilizzo.
L’ambito di nostro interesse è quello legato ai rapporti di lavoro e nello specifico ci interessa capire quale valore può avere una comunicazione effettuata su WhatsApp dal datore di lavoro al lavoratore e viceversa e anche fra colleghi. Questo soprattutto perché a parte essere uno strumento di comunicazione immediato è, ormai, alla portata di tutti, anche di chi non è in grado di inviare una mail.
Qual è il valore legale di una chat di WhatsApp
Vediamo quindi se le chat di WhatsApp, nelle quali ci si scambia qualsiasi tipo di informazione, confidenza e spesso lamentela hanno un valore legale. Diverse infatti sono le sentenze che hanno identificato le chat dell’app di messaggistica come delle vere e proprie prove documentali; forti anche del fatto che già nel passato vi erano stati casi in cui si era data importanza probatoria ai messaggi all’epoca SMS ed MMS. Pensiamo ad esempio alla Cassazione nelle sentenze n. 866/2000 e n. 9884/2005.
Tornando alla tecnologia attuale singolare è la decisione del Tribunale di Catania, sezione Lavoro che con ordinanza del 27.06.2017 ha stabilito che il licenziamento intimato ad un dipendente utilizzando l’app del gruppo Facebook avesse pienamente assolto l’onere della forma scritta di cui all’art. 2 della L. 604/1966.
La decisione del Tribunale si è basata sostanzialmente su questi punti:
- il messaggio inviato con WhatsApp può identificare sia il mittente, ossia il datore di lavoro, sia il destinatario, quindi il lavoratore.
- il messaggio fornisce chiaramente indicazione di invio, ricezione ed e lettura attraverso l’utilizzo delle diverse spunte.
Per quanto indicato sopra, quindi, seppur in modo singolare un “semplice” messaggio di WhatsApp può essere assimilato ad una raccomandata postale o ad una pec.
Nel caso rappresentato il datore di lavoro si è “sfogato” intimando il licenziamento con uno strumento di comunicazione che a volte sono gli stessi lavoratori ad utilizzano per sfogarsi contro il datore di lavoro.
Ebbene sì: nonostante le chat dovrebbero rimanere private se queste confidenze riguardano questioni lavorative possono avere risvolti inaspettati e non piacevoli.
Valore documentale di WhatsApp nel rapporto di lavoro
Come detto le chat hanno valore documentale e non è necessario che le critiche siano rivolte direttamente al datore di lavoro quale destinatario del messaggio. E’ questo il caso di una chat WhatsApp inviata da un dirigente alla moglie dell’amministratore unico; questa denota un atteggiamento ostile verso l’azienda ponendo in essere strategie di tipo intimidatorio-ricattatorio giustificandone il licenziamento. (Tribunale di Fermo, decreto 1973 del 2017).
Allo stesso modo il Tribunale di Milano (sent. del 30/05/2017) ha ritenuto giusta causa di licenziamento l’aver creato un gruppo tra colleghi su WhatsApp destinato a offendere il datore di lavoro.
La condotta del lavoratore è stata ritenuta intenzionalmente volta a denigrare il proprio “capo” utilizzando termini offensivi e denigratori.
In definitiva è bene per i lavoratori prestare maggiore attenzione a quanto viene comunicato all’interno delle singole chat o gruppi poiché quello che apparentemente potrebbe sembrare un “semplice” sfogo o un gioco innocuo dovuto ad una particolare circostanza potrebbe costare molto caro; si può arrivare addirittura al licenziamento e chissà mai che il datore di lavoro non voglia usare lo stesso canale di comunicazione per intimarlo!
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